La querelante Nessa Risley, residente nella Carolina del Nord, accusa anche Paradigm, Andreessen Horowitz e Union Square, di essere tutti “ben consapevoli” di quello che sta succedendo su Uniswap, secondo la causa di ben 68 pagine.
Il fascicolo afferma che Uniswap genera “grandi profitti” addebitando una commissione su ogni operazione. Questo andrebbe a vantaggio degli altri imputati e consente loro di emettere token. Uniswap è inoltre accusata di “incoraggiare” le frodi a causa della sua struttura tariffaria. L’emissione di “migliaia di token truffadini” legati a schemi ponzi, a rug pull, pump-and-dump ed altri ha facilitato la condotta fraudolenta di Uniswap. Vediamo bene cos’è successo.
Uniswap nel caos: ecco la risposta
Uniswap Labs ha risposto alle accuse di cui sopra, dichiarando al notiziario sulle criptovalute The Block:
“Le accuse sono infondate e la denuncia è piena di inesattezze fattuali. Abbiamo in programma di difenderci vigorosamente da questa causa“.
In quanto “contratti di investimento“, i token sono titoli ai sensi della legge federale e gli emittenti sono tenuti a presentare dichiarazioni di registrazione per ciascuno di essi. Di conseguenza, gli investitori avrebbero ricevuto informazioni per valutare il rischio connesso all’investimento in ciascun token. La causa afferma: “Senza queste informazioni, sono stati lasciati a se stessi“.
Uniswap è stato accusato di facilitare tutto questo, traendo profitto secondo la causa dalla quotazione di molti dei “titoli non registrati” ed incassando commissioni di transazione. La causa si conclude così:
“Gli imputati hanno approfittato di questa attività illecita, così come gli emittenti a cui Uniswap ha pagato commissioni nascoste ed esorbitanti. Nel frattempo, gli utenti ignari dall’altra parte di queste transazioni fraudolente sono stati lasciati a mani vuote“.