Intesa San Paolo: scopri come è nata la prima banca italiana, rimarrai esterrefatto

Intesa San Paolo, nata dalla fusione di San Paolo Imi e Banca Intesa, è la primissima banca italiana per prestigio, solidità, raggio di azione.

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Intesa San Paolo negli ultimi anni ha consolidato la sua posizione, ponendosi come primissimo istituto di credito del nostro Paese. Tutto questo grazie alla sua crescita esponenziale cominciata con la sua nascita. Quella che però affonda anche le radici nella solida storia delle componenti che le hanno dato vita.

Sono state, in seguito, le cosiddette Opa, ad aumentare in modo esponenziale il peso specifico di questa banca, oggi la regina italiana. Le Opa, per chi non lo sapesse, rappresentano le cosiddette operazioni pubbliche di acquisto.

Intesa San Paolo, in un frangente molto particolare per la finanza italiana, ha acquisito e incorporato banche minori a prezzi bassissimi. Si tratta in alcuni casi di cifre simboliche nel vero senso della parola, per evitare il fallimento di realtà decisamente con l’acqua alla gola.

Intesa San Paolo: storia e contesto operativo

Una realtà, quella di Intesa San Paolo, che ha puntato tutto il suo raggio di azione e la sua strategia, in un concreto processo di aggregazione di altre banche. Ma prima di capire bene quante filiali vanta in Italia, e la sicurezza che oggi la sua posizione genera nei risparmiatori che a lei si affidano, è bene partire da zero. Lo facciamo per raccontare e comprendere la storia di Intesa San Paolo.

Tutto comincia in due epoche, in quelle che potremmo definire due fasi temporali. Oltre tutto vicinissime tra loro.

La prima è quella di Dicembre 2006, ed è il periodo di nascita effettivo di Intesa San Paolo. La seconda è quella che decorre dal 1°gennaio del 2007, a seguito della fusione tra Banca Intesa e Sanpaolo IMI. E’ da qui che tutto ebbe inizio, da qui comincia la storia vera e propria della banca protagonista della nostra inchiesta.

Intesa San Paolo: tutto ebbe inizio tra dicembre e gennaio del 2007

Due istituti che mettono insieme il nuovo e il vecchio dell’apparato creditizio italiano per dare vita a qualcosa che in partenza possiede la solidità del “vecchio”, ma nel contempo punta da subito all’innovazione.

Infatti, da una parte, abbiamo San Paolo IMI con tradizioni antichissime. Stiamo parlando di un’epoca lontanissima, quella del 1563, quando “la Confraternita San Paolo” comincia una delle primissime attività bancarie di quel tempo.

Si parte con un raggio di azione benefico e di solidarietà, con una congregazione religiosa che ha lo scopo di supportare economicamente le persone vessate dagli usurai.

Ma molto presto inizia la fase del potere finanziario, tanto è vero che nei secoli successivi, verso il 1650, la Confraternita avrà l’onere di arrivare a gestire il debito pubblico dello Stato Sabaudo.

Arriviamo così al 1800, quando in piena industrializzazione italiana, quella che è diventata la Banca San Paolo di Torino lavora con l’obiettivo di supportare la crescita industriale piemontese e delle regioni limitrofe del Nord Italia.

La storica Confraternita di San Paolo e la San Paolo di Torino

Nel 1932 accade che un decreto regio ufficializza la banca come istituto che persegue un interesse pubblico e così sarà fino al 1992, quando Sanpaolo diventa una Società per Azioni.

E siamo all’apice dello sviluppo. Non è finita perché negli anni successivi, con l’affacciarsi del boom economico, la banca San Paolo si rende protagonista di una nuova fusione. Arriva infatti quella con Imi.

Si tratta di un ente di diritto pubblico che ha lo scopo di fare da osservatorio di sostegno per la crescita industriale del nostro Paese.

Viene fuori così un notevole rafforzamento agli occhi dell’opinione pubblica, e del mondo politico in particolare, oltre che una notevole crescita della dimensione territoriale, da parte di banca San Paolo.

Gli anni Novanta e la fusione con la Imi

Sono gli anni ’90, San Paolo Imi è un colosso bancario italiano, ma non basta. Occorre un ulteriore salto di qualità ed ecco che si pensa alla fusione con Banca Intesa.

Pochi anni prima lo scopo era stato quello di unire la solidità di un colosso del settore dell’attività creditizia retail (appunto San Paolo) con una primaria banca d’affari e d’investimento, quale appunto Imi.

Cosa succede con Banca Intesa e perché avviene la fusione? Il risultato è da qualche anno davanti agli occhi del mondo finanziario non solo italiano ma continentale.

Intesa San Paolo rappresenta oggi la prima banca italiana per capitalizzazione (44 miliardi) e numero di sportelli (3.000), nonché la terza in Europa dietro BNP Paribas e Banco Santander.

Intesa San Paolo: San Paolo Imi e Banca Intesa si uniscono per il cambiamento epocale

Dopo la sua nascita, la banca decide davvero di correre veloce. E da questo momento sono davvero numerose le operazioni di acquisizione pubblica (le già citate Opa) di piccole o medie banche sull’orlo del fallimento.

Ricordiamo la Cassa di Risparmio di Firenze con un’OPA nel 2008, la Cassa di Risparmio di Venezia e la Banca di Credito Sardo nel 2014 a seguito di incorporazione e la Banca di Risparmio dell’Umbria nel 2016 sempre tramite incorporazione.

Fanno discutere l’opinione pubblica, in particolare, in questi anni, due operazioni, alla cifra di 50 centesimi ciascuna, quindi naturalmente simboliche. Stiamo parlando della Veneto Banca e della Banca Popolare di Vicenza. Le operazioni celano cifre che rasentano quasi lo zero proprio perché i due istituti di credito in questione erano sull’orlo del totale fallimento e quindi Intesa San Paolo le salva nel vero senso della parola.

Le opa e il sostegno del Ministero del Tesoro

In realtà la prima banca italiana non acquista il totale delle attività, ma da esse scorpora i crediti deteriorati e le obbligazioni subordinate, oltre che altri rapporti giuridici e acquisiti effettuati che non vengono considerati funzionali. Nello specifico Intesa Sanpaolo rileva: 26,1 miliardi di crediti non ad alto rischio, 4 miliardi di crediti ad alto rischio ma con possibilità di retrocessione al Tesoro entro il 2020, 8,9 miliardi di attività finanziarie, 1,9 miliardi di attività fiscali, 25,8 miliardi di debito verso la clientela, 11,8 miliardi di obbligazioni senior e 23 miliardi di raccolta indiretta.

Non finisce certo qui la storia di Intesa San Paolo in termini di acquisizioni, visto che il 18 febbraio 2020 sarà un’altra data da ricordare per la storia di questa banca. Infatti, l’Amministratore Delegato Carlo Messina annuncia a sorpresa il lancio di un’Offerta Pubblica di Scambio con UBI Banca che prevede lo switch di 17 azioni Intesa Sanpaolo per ogni 10 azioni UBI Banca. L’operazione viene effettuata con un premio per i soci della quarta banca italiana del 27,6% rispetto alle quotazioni di Borsa del 14 febbraio e comporta un giro di denaro di 4,9 miliardi di euro.

La prima banca italiana per solidità e uno dei colossi europei

Non ci dimentichiamo che Intesa San Paolo, proprio a dimostrazione di essere oggi la prima banca italiana per solidità, gode di un ampio appoggio da parte del Ministero del Tesoro.

Per svolgere negli anni le Opa che vi abbiamo raccontato, infatti, il gruppo torinese, con decreto 99/2017, riceve dallo Stato: 3,5 miliardi di contributi per coprire l’impatto sui coefficienti patrimoniali e in particolare sul TIER1.

E ancora arrivano 1,285 miliardi per coprire gli oneri per la chiusura di 600 filiali e per la salvaguardia dei posti di lavoro.

Non ultimi. ecco arrivare 1,5 miliardi di garanzie pubbliche sui rischi derivanti da fatti successi prima che avvenisse l’acquisizione.

Il bello è che tutto è a vantaggio di Intesa San Paolo che, con queste operazioni, scorpora dalle banche che acquisisce le parti buone, da cui ripartire. Mentre lascia nelle mani dello Stato la patata bollente dei debiti accumulati.

Certo, i posti di lavoro e i risparmi dei cittadini vengono tutelati, ma l’onere più pesante rimane nelle mani del Ministero del Tesoro.

I fatti parlano chiaro e sono sotto gli occhi di tutti.

Il Gruppo Intesa Sanpaolo rappresenta oggi il maggiore gruppo bancario in Italia, con 13,5 milioni di clienti e circa 4.200 filiali.

4200 filiali e un raggio di azione invidiabile nel Vecchio Continente

Inoltre il Gruppo ha una presenza internazionale strategica, con circa 1.000 sportelli e 7,1 milioni di clienti. Si colloca tra i principali gruppi bancari in diversi Paesi del Centro-Est Europa e nel Medio Oriente e Nord Africa grazie alle proprie controllate locali: è al primo posto in Serbia, al secondo in Croazia e Slovacchia, al quarto in Albania e Slovenia, al quinto in Bosnia-Erzegovina e Egitto, al sesto in Moldavia e al settimo in Ungheria

Intesa San Paolo: le tre figure di spicco del Cda

Ecco le figure di spicco del Consiglio di Amministrazione di Intesa San Paolo. Le potremmo riassumere in tre grandi personaggi che, con ruoli diversi, dominano il raggio di azione della banca.

Gian Maria Pietro Gros, classe 1942: è il Presidente del Consiglio di Amministrazione di Intesa Sanpaolo dall’aprile 2016.

In passato è stato Presidente del Consiglio di Gestione della Banca dal maggio 2013. Attualmente è membro del Comitato Esecutivo dell’ABI, nonché Consigliere di Abi Servizi.

Poi non possiamo non nominare Paolo Andrea Colombo, classe 1960. Si tratta di una figura di spicco, di una eccellenza della finanza italiana.

E’ laureato nel 1984 in Economia Aziendale all’Università Bocconi di Milano. E’ stato ricercatore presso la cattedra di Contabilità e Bilancio dell’Università Bocconi ed è attualmente Professore a contratto Senior presso la medesima Università. Dal 2016 è nel Cda di Intesa di San Paolo.

Infine ecco il già citato Carlo Messina, Consigliere Delegato e Chief Executive Officer di Intesa Sanpaolo dal 29 settembre 2013.

Intesa San Paolo: anno dopo anno una certezza per gli investitori

A livello di sicurezza per i risparmiatori, Intesa San Paolo continua a superare, anno dopo anno, importanti scogli. Questi traguardi la collocano al primo posto italiano e ai primissimi posti europei.

Negli stress test Intesa Sanpaolo è risultata particolarmente brillante. Questo accade anche in ipotesi di scenari avversi, sotto il profilo del coefficiente patrimoniale noto come Cet1 (Common Equity Tier 1) Ratio.

Si tratta di uno dei parametri fondamentali cui fanno riferimento investitori, risparmiatori e il mondo della finanza per valutare la solidità di una banca.

Esso esprime in che misura una banca riesce a garantire i prestiti concessi ai clienti e i rischi rappresentati dai crediti deteriorati.

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